POP FIVE .... a Trani presso la galleria ISMI Arte Contemporanea.
Easypop insieme al prof. Guido Corazziari al maestro Giancarlo Montuschi, Cisky e Gabriele Roberto Bertoni.Curatela Paola De Benedictis
Presentazione in galleria a cura di Michela Laporta
Testo in catalogo di Isabella Michetti
testo: di Isabella Michetti per ISMI Arte Contemporanea - giugno 2018
E furono i mass media e fu l'arte pop, il giorno appresso.
Nata in grembo alla diffusione delle nuove tecnologie, alimentatasi nel solco delle derive di un fenomeno che ha assunto proporzioni non profetizzate, cavalca il sovraccarico di input visivi che caratterizza il nostro tempo e che si sedimenta a formare il comune, roboante substrato culturale.
Provocatoria, irriverente arte pop, si sbizzarrisce con sempre maggiore audacia sull'onda di una costante vocazione a provocare. Sulla bocca e negli occhi di chiunque ella, tuttavia, sfugge a definizioni efficaci; si muove e gioca, beffarda, lungo i margini incerti che distinguono il colpo di genio dall'idea mediocre, il talento autentico dalla mera abilità a replicare.
Il livellamento crescente dei piani prospettici con i quali l'uomo osserva il mondo fa scivolare qualsiasi cosa in primo piano, sullo stesso primo piano - dai beni di largo consumo alle più raffinate opere d'arte, passando per i volti di miliardi di persone dati quotidianamente in pasto ai contenitori social. L'appassionato d'arte è declassato a consumatore da sedurre e irretire con espedienti a effetto che sappiano pilotarne i gusti, così da assecondare i capricci del mercato.
Basta rielaborare due immagini pubblicitarie in salsa punk ed ecco servito il capolavoro, dicono gli scettici dell'arte pop. Così dicono, d'altro canto, i suoi più entusiasti estimatori.
Ai nostri giorni, l'arte pop è omaggio e negazione, citazione e superamento dei pionieri. Il volto di quel Warhol che seppe intuire in una lattina di zuppa le stesse potenzialità dello sguardo languido di una diva di Hollywood, quel volto è diventato esso stesso un'icona - guadagnandosi uguale trattamento. Impertinente, irride le distorsioni della società dei mass media mentre irride se stessa. La rapidità dei mezzi tecnologici, tuttavia, non minaccia ancora le potenzialità della pittura, lenta e ponderata costruzione che permette di indugiare sulle singole fasi di lavoro, dedicandovi un tempo adatto al perfezionamento finale.
Surreale, nostalgica, per certi versi primitiva, l'arte pop è una favola disseminata di personaggi d'altri tempi fra i pennelli di Giancarlo Montuschi, che a una papera animata vagamente ammiccante affianca i Beatles in versione fumetto variopinto, mentre un vecchio jukebox rilegge sornione una loro hit. Protagonisti, i colori, vivaci e resi saturi dalla stesura generosa, sfruttano la totale assenza di impianti prospettici per esplodere in ogni punto della tela, riempiendo le retine.
Divertente, arguta arte pop. Guido Corazziari, architetto e docente di arte digitale, gioca con i simboli dei beni di consumo più diffusi. In un panino da fast food morsicato rivede la sagoma del marchio più celebre di prodotti tecnologici; rifinisce la base multimediale a colpi di acrilico, per fissare ulteriormente nel colore la miscellanea eterogenea di immagini e simboli - ed è subito iPop.
Può essere davvero easy, l'arte pop. Si può permettere di citare, con riguardosa leggerezza, i grandi dell'arte moderna, rielaborandone i capolavori. Si può coinvolgere, sotto l'egida del pop, in un progetto rigorosamente aperto - Easypop - persone e attitudini diverse. Si può rinunciare all'individualismo della firma in favore del simbolo più easy che ci sia - uno smile grande abbastanza da diventare rifinitura ultima dell'opera, un po' marchio un po' soggetto. Libera irriverenza in regime di libera fruizione di ogni immagine possibile.
Sono altrettanto pop certi ritratti innaturali ed estremamente realistici. Roberto Bertoni sonda meticolosamente i volti, seguendo le pieghe impercettibili di una smorfia appena accennata, le rughe di un pensiero insistente. La macchina fotografica ferma l'istante sulla pellicola, ma nel suo destino ci sono sfondi di pagine di giornale corredate da motti enigmatici. Ne risulta, in omaggio a Warhol ma senza lasciarsi sedurre dalla riproducibilità seriale, una ritrattistica profondamente efficace. Le pennellate stemperano l'innaturale fissità dello scatto fotografico lasciando affiorare tratti essenziali - come a uno specchio sa farsi più fedele, con l'aumentare dell'intensità con cui lo si fissa, l'immagine di chi vi si riflette.
Può essere pop persino la volontà di denunciare l'ingiustizia, la vicinanza empatica a quanti la subiscono. Cisky guarda alla tragedia del continente nero, allo sfruttamento perpetrato ai danni di intere generazioni di popoli inermi. Gli acrilici sanno amplificare la scintilla di coraggiosa incoscienza negli occhi di due bambini, mentre brillano, sul capo di una giovane donna dal volto emaciato e segnato dallo sconforto, manciate di rubini e diamanti in mostra come a una svendita da grandi magazzini. Lo sfavillio del resto seduce, il glam insidia l'idea della bellezza. Eppure "dai diamanti non nasce niente"; dal trash, invece, può nascere arte pop.
Nata in grembo alla diffusione delle nuove tecnologie, alimentatasi nel solco delle derive di un fenomeno che ha assunto proporzioni non profetizzate, cavalca il sovraccarico di input visivi che caratterizza il nostro tempo e che si sedimenta a formare il comune, roboante substrato culturale.
Provocatoria, irriverente arte pop, si sbizzarrisce con sempre maggiore audacia sull'onda di una costante vocazione a provocare. Sulla bocca e negli occhi di chiunque ella, tuttavia, sfugge a definizioni efficaci; si muove e gioca, beffarda, lungo i margini incerti che distinguono il colpo di genio dall'idea mediocre, il talento autentico dalla mera abilità a replicare.
Il livellamento crescente dei piani prospettici con i quali l'uomo osserva il mondo fa scivolare qualsiasi cosa in primo piano, sullo stesso primo piano - dai beni di largo consumo alle più raffinate opere d'arte, passando per i volti di miliardi di persone dati quotidianamente in pasto ai contenitori social. L'appassionato d'arte è declassato a consumatore da sedurre e irretire con espedienti a effetto che sappiano pilotarne i gusti, così da assecondare i capricci del mercato.
Basta rielaborare due immagini pubblicitarie in salsa punk ed ecco servito il capolavoro, dicono gli scettici dell'arte pop. Così dicono, d'altro canto, i suoi più entusiasti estimatori.
Ai nostri giorni, l'arte pop è omaggio e negazione, citazione e superamento dei pionieri. Il volto di quel Warhol che seppe intuire in una lattina di zuppa le stesse potenzialità dello sguardo languido di una diva di Hollywood, quel volto è diventato esso stesso un'icona - guadagnandosi uguale trattamento. Impertinente, irride le distorsioni della società dei mass media mentre irride se stessa. La rapidità dei mezzi tecnologici, tuttavia, non minaccia ancora le potenzialità della pittura, lenta e ponderata costruzione che permette di indugiare sulle singole fasi di lavoro, dedicandovi un tempo adatto al perfezionamento finale.
Surreale, nostalgica, per certi versi primitiva, l'arte pop è una favola disseminata di personaggi d'altri tempi fra i pennelli di Giancarlo Montuschi, che a una papera animata vagamente ammiccante affianca i Beatles in versione fumetto variopinto, mentre un vecchio jukebox rilegge sornione una loro hit. Protagonisti, i colori, vivaci e resi saturi dalla stesura generosa, sfruttano la totale assenza di impianti prospettici per esplodere in ogni punto della tela, riempiendo le retine.
Divertente, arguta arte pop. Guido Corazziari, architetto e docente di arte digitale, gioca con i simboli dei beni di consumo più diffusi. In un panino da fast food morsicato rivede la sagoma del marchio più celebre di prodotti tecnologici; rifinisce la base multimediale a colpi di acrilico, per fissare ulteriormente nel colore la miscellanea eterogenea di immagini e simboli - ed è subito iPop.
Può essere davvero easy, l'arte pop. Si può permettere di citare, con riguardosa leggerezza, i grandi dell'arte moderna, rielaborandone i capolavori. Si può coinvolgere, sotto l'egida del pop, in un progetto rigorosamente aperto - Easypop - persone e attitudini diverse. Si può rinunciare all'individualismo della firma in favore del simbolo più easy che ci sia - uno smile grande abbastanza da diventare rifinitura ultima dell'opera, un po' marchio un po' soggetto. Libera irriverenza in regime di libera fruizione di ogni immagine possibile.
Sono altrettanto pop certi ritratti innaturali ed estremamente realistici. Roberto Bertoni sonda meticolosamente i volti, seguendo le pieghe impercettibili di una smorfia appena accennata, le rughe di un pensiero insistente. La macchina fotografica ferma l'istante sulla pellicola, ma nel suo destino ci sono sfondi di pagine di giornale corredate da motti enigmatici. Ne risulta, in omaggio a Warhol ma senza lasciarsi sedurre dalla riproducibilità seriale, una ritrattistica profondamente efficace. Le pennellate stemperano l'innaturale fissità dello scatto fotografico lasciando affiorare tratti essenziali - come a uno specchio sa farsi più fedele, con l'aumentare dell'intensità con cui lo si fissa, l'immagine di chi vi si riflette.
Può essere pop persino la volontà di denunciare l'ingiustizia, la vicinanza empatica a quanti la subiscono. Cisky guarda alla tragedia del continente nero, allo sfruttamento perpetrato ai danni di intere generazioni di popoli inermi. Gli acrilici sanno amplificare la scintilla di coraggiosa incoscienza negli occhi di due bambini, mentre brillano, sul capo di una giovane donna dal volto emaciato e segnato dallo sconforto, manciate di rubini e diamanti in mostra come a una svendita da grandi magazzini. Lo sfavillio del resto seduce, il glam insidia l'idea della bellezza. Eppure "dai diamanti non nasce niente"; dal trash, invece, può nascere arte pop.