Dicono di EasyPop

“I can do it Myself”. Il Braccio di Ferro di Mazzeo ci dà una lezione sul rapporto tra arte e cultura di massa

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"Lo potevo fare anch'io". Per chi non lo ricordasse (buon per lui), "Lo potevo fare anch'io" è il titolo di uno dei libri del Mike Buongiorno della critica nazional-popolare italiana, Francesco Bonami, quello che con una mano cura mostre e Biennali iper-conformiste e iper-allineate, senza uno straccio d'idea critica se non quella di far contenti i galleristi e i mercanti più ricchi e più  à la page dell'orbe terracqueo, e con l'altra finge di smarcarsene inanellando, nei suoi saggi (saggi?) degni d'un temine da quinta elementare, frasette del tipo: "l'arte non dovrebbe mai far passare per cretino nessuno" (ah, beh, sì, beh…).
Un critico che, per parlare di giganti del contemporaneo come Anish Kapoor, riesce a scrivere perle di profondità critica quali: "Kapoor ci dà l'emozione dell'otto volante evitandoci la paura"; e su Haring: "Come tutte le cose buone ma troppo fresche, tipo la mozzarella di bufala, anche il linguaggio di Haring non avrà lunga durata" (se lo dice lui…).
Ora, se "Lo potevo fare anch'io" è, in italiano, il titolo di uno dei libri di questo maître à penser della critica internazionale, in inglese assume invece un suono più secco: "I can do it Myself". Ed è proprio con questo titolo che Roberto Mazzeo, artista e agitatore culturale, inventore di un movimento intitolato "Easy pop" (nato per "creare un  cortocircuito tra la lettura immediata e giocosa dell'opera ed il senso celato che nasconde, usando elementi popolari facili da leggere"), ha pensato di ribattezzare una sua serie recente di sculture. A dire "I can do it Myself", questa volta, è  nientepopodimeno che Braccio di Ferro, che in mano tiene… la merda d'artista di Piero Manzoni.
Alle volte, bastano due immagini, come il famoso incontro casuale dell'ombrello e della macchina da cucire su un tavolo operatorio del Conte de Lautréamont, per dire più  di mille (banali) parole. Braccio di Ferro, Piero Manzoni e la frase che meglio di tutte rende la difficoltà di leggere e di capire l'arte contemporanea per chi non sia un  addetto ai lavori. C'è tutto, in questo terzetto di elementi: la cultura bassa e quella alta, il superpopolare (quello vero) e la spocchia del mercato dell'arte, che divora tutto e trasforma tutto in denaro contante (anche chi, come Manzoni, tutto avrebbe voluto, fuorché diventare lo specchietto per le allodole di un sistema ipertrofico, avido e vorace); e, sopra a tutto questo, il pensiero "dell'uomo della strada", che gli stessi padaràn del sistema (Bonami docet) furbescamente assimilano e fanno propri, per continuare a difendere, ed esporre, l'indifendibile in eterno. Quello di Mazzeo è – questo sì –, un piccolo saggio, in versione popolare, anzi, in perfetto stile "easy pop", sulle contraddizioni di un sistema che da cento e passa anni sembra bloccato in un'impasse culturale, formale e comunicativa, incapace di relazionarsi veramente con il grande pubblico se non alternando spocchia e banalità da quattro soldi, incapace di fare i conti con i totem e gli idoli della civiltà di massa, incapace di gareggiare veramente con le grandi produzioni (dal cinema, a internet, alla "nuova" televisione on demand) su cui si gioca la vera sfida del domani.

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